E se volessimo aprire un allevamento?

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  1. AdminTitty
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    Spesso qualcuno ci scrive dicendo che gli piacerebbe cominciare ad allevare una razza.
    Almeno la metà di queste persone parla di Labrador o Golden retriever, mentre altri hanno in mente cani sicuramente lontani da qualsiasi sospetto di interesse commerciale (una lettrice, per esempio, vorrebbe allevare Bearded Collie…razza su cui invito chiunque a sospettare uno “scopo di lucro!”).
    Quando ricevo queste lettere sono sempre combattuta tra due impulsi: incoraggiare o condannare?
    Ovviamente dipende dai casi.

    Bisogna condannare senza mezzi termini chiunque abbia in mente di “cogliere il business” e di cominciare ad allevare una razza per cui non prova alcun trasporto, ma che vede solo come un buon investimento economico.
    Chi si avvicina con queste idee all’allevamento NON è un vero cinofilo e non combinerà mai nulla di buono, a qualsiasi razza si avvicini.
    Non è detto, però, che la pensino tutti così.
    E’ altrettanto possibile che un vero cinofilo, che ha già una discreta conoscenza di una certa razza e possiede uno o due buoni soggetti, cominci a pensare seriamente all’allevamento non solo perché il cane si vende bene, ma anche perché si vende bene.
    Il che è tutt’altro paio di maniche.
    A questo punto, per capire ciò che intendo dire, dovete subirvi la mia storia personale.
    Io ho preso l’affisso nel lontano (“remoto”, ormai…) 1974: e l’ho preso allevando pastori tedeschi, razza che allora amavo più di ogni altra al mondo.
    Ero alle prime armi, non ero una grande esperta e non possedevo cani di eccelso valore: ma ce la mettevo tutta.
    Mi informavo, studiavo, rompevo le scatole a chi ne sapeva più di me…e intanto “facevo cuccioli” che vendevo senza problemi, anche se devo riconoscere che erano solo onesti cagnotti senza infamia e senza lode.
    Qualche anno dopo, quando l’esperienza cominciava ad aiutarmi, arrivarono i primi risultati interessanti: ma sul più bello presi una cotta fulminante.
    No, non avevo incontrato un superfico romantico dalle spalle larghe: avevo incontrato un cane con la coda a scimitarra che mi rideva in faccia quando cercavo di addestrarlo.
    Era il primo siberian husky della mia vita, e la mia vita era destinata a cambiare.
    Nel giro di un anno, infatti (dopo aver tentato di allevare tutte e due le razze ed essermi resa conto che era un’impresa superiore alle mie forze), mollai i pastori tedeschi e mi buttai anima e corpo sui cani nordici: cani che, a quei tempi, non conosceva nessuno.
    Era l’inizio degli anni ’80: il grande boom dell’husky sarebbe arrivato quasi dieci anni dopo.
    A quei tempi, quando andavo in giro con uno dei miei cani al guinzaglio, la gente mi chiedeva se era un lupo (anche perché non ho mai amato molto gli occhi azzurri, e fin dall’inizio ho avuto prevalentemente cani con gli occhi scuri): e quando avevo una cucciolata, spesso dovevo pregare amici e parenti di prendersene uno.
    Qualcuno, più che altro per pietà, mi accontentò: ma la maggior parte di quei cuccioli crebbe nel mio giardino, dotandomi (mio malgrado) di un “parco cani” assai più numeroso di quanto avessi previsto.
    Poi, come tutti sanno, l’husky diventò un cane di moda: anzi, “il” cane di moda, protagonista del più clamoroso “boom cinofilo” del secolo.
    Ricevevo anche dieci telefonate al giorno, e se avessi voluto arricchirmi con i cani avrei potuto farlo.
    Però il mio modo di intendere la cinofilia (leggasi amore sviscerato, ma soprattutto rispetto, per i miei “lupastri”) mi ha sempre impedito di dedicarmi alla produzione industriale di cuccioli, col risultato che non mi sono arricchita neanche un po’: ma in quel periodo, anche se producevo poche cucciolate, ho avuto sicuramente un bilancio positivo.
    Purtroppo per le mie tasche, questo bilancio “positivo” non è andato neanche vicino a coprire il drammatico scompenso dei primi anni: io l’ho fatto per passione, anzi per amore, e non me ne sono mai pentita. Ma certamente, a livello economico, non potrei definirlo un “investimento riuscito”: e questa esperienza mi ha portato a una conclusione ben precisa.
    Sapendo quel che significa allevare una razza che non vuole nessuno, e quel che significa allevare una razza che vogliono in troppi (mentre in realtà è una razza per pochi)…se dovessi ricominciare daccapo cercherei di NON scegliere né la prima, né la seconda.
    Tornerei piuttosto al mio vecchio, buon pastore tedesco: ovvero a una razza solida, ben conosciuta ed apprezzata.
    Ovviamente dovrei anche amarla: ma l’amore da solo non mi convincerebbe più ad aprire un allevamento.
    Eppure, giuro, non ho mai avuto l’animo del “cagnaro”, né del commerciante.
    Sono semplicemente cresciuta e maturata un po’ (tutti eufemismi per non dire “invecchiata”: concedetemeli): e ho capito che l’allevamento, per essere serio e animato da vero amore per i cani, non deve forzatamente essere un’avventura pionieristica con disastro economico incorporato.
    Certamente, se si ama solo una razza insolita, sconosciuta e invendibile, è giusto allevare quella, succeda quel che succeda.
    Ma non tutti, suppongo, saranno così sfigati: anzi, immagino che MOLTE persone amino le razze solide e dal sicuro avvenire.
    Quindi, perché scandalizzarsi se pensano di allevarle?

    Io condannerei me stessa se oggi che gli husky non si vendono più come caramelle (anzi: non li vuole proprio più nessuno!) mollassi la mia razza e cominciassi ad allevare labrador; e condanno sicuramente chi cambia razza a seconda del vento che tira, saltando dallo yorkshire al mastino napoletano o al dalmata con la massima nonchalance.
    Ma NON mi sento di condannare chi comincia ad allevare la razza che ama nel momento in cui questa razza gli garantisce, almeno, la certezza di non rimetterci.

    Cosa farei io, oggi, se volessi cominciare ad allevare seriamente?
    Più precisamente: cosa farei se fossi oggi quella che ero 25 anni fa, e cioè una grande appassionata, con tanta buona volontà ma con esperienza zero?
    La risposta non è scontata come sembra.
    Perché in teoria non dovrebbe essere: “Farei le stesse cose che ho fatto 25 anni fa”.

    Venticinque anni fa io ho fatto semplicemente CASINO: sono andata a naso e ho commesso un sacco di errori.
    Pur agendo con le migliori intenzioni e col massimo amore possibile, in qualche caso ho combinato grandi pasticci: ma ho un’attenuante, Vostro Onore.
    E l’attenuante è che quelli erano tempi in cui non c’erano molte strade alternative a quella che ho seguito io, e cioè quella di farsi le ossa sulla propria pelle…e su quella dei propri cani.
    Ma oggi il mondo è diverso. La cinofilia è diversa.
    Oggi le esposizioni canine vanno in televisione in prima serata, sul cane esistono mille libri, duemila video, tremila riviste e millemila siti.

    Oggi l’allevatore che va a chiedere una partita IVA non si sente più rispondere (come è successo a me): “Cosa ne dice se la iscrivo all’artigianato? Non so dove altro metterla, perché la sua categoria non esiste”.
    Siamo nel terzo millennio, siamo cresciuti, ci siamo evoluti.
    E allora, che fa una persona che vuole iniziare ad allevare?
    La risposta dovrebbe essere: si rivolge all’ENCI o alla Società specializzata, o magari sfoglia libri e riviste, e trova tutte le risposte che cerca.
    Be’, non succede così.
    Mi è capitato spesso di parlare con giovani sicuramente appassionati (e al di sopra di ogni sospetto di “cagnarismo”), che hanno telefonato all’ENCI per sapere “come” partire, cosa fare, come evitare gli errori: ma l’ENCI ha sciorinato i regolamenti relativi all’ottenimento di un affisso, specificando bene i costi (che come è noto sono l’unica cosa interessante per il nostro beneamato Ente).
    Allora il giovane si rivolge a un allevatore dalla lunga esperienza: ma spesso si sente rispondere con giri di parole che, stringi stringi, significano “parti e spera. E arrangiati. Anzi, meglio se non parti proprio, così ho un concorrente in meno”.

    Molti allevatori, stando alle testimonianze, sembrano intenzionati a tenere per sé chissà quali segreti e quali misteriose alchimie: così si limitano a discorsi generici che lasciano il tempo che trovano. E quando “sembrano” intenzionati ad aiutare i giovani…fateci caso: l’unica cosa che fanno, spesso e volentieri, è vendergli i loro cani. E se per caso poi questi cani vincono, da maestri di vita e “guru” dell’allevamento si trasformano rapidamente in accaniti sputtanatori (la frase più classica è: “Ma chi ci crede di essere, quello lì, che è nato ieri?”).
    E’ vero che molti neo-cinofili, dopo aver fatto mezza cucciolata, sembrano diventati i depositari della verità universale sulla loro razza: e questo non è piacevole per chi si sforza di insegnare.
    Ma è anche vero che spesso ci si sente molto “maestri” solo quando è il momento di rifilare cani…dopodiché si diventa concorrenti. Spietati.
    Veniamo ora a libri e riviste…che aiutano ben poco, ahimè, se ci si limita ad osservare il panorama italiano.
    I libri “davvero” utili, infatti, non vengono mai tradotti: quindi può leggerli solo chi conosce perfettamente la lingua originale (sapendo bene l’inglese, comunque, anche se “non” si è scelta una razza inglese, c’è molto materiale a disposizione).

    In italiano abbiamo UN singolo libro di genetica, due libri di cinotecnica (di cui uno stra-datato ma puntualmente ristampato per preparare i nuovi Giudici, mentre quello più moderno e veramente ben fatto viene ancora guardato con una certa sufficienza), pochi libri su etologia e psicologia canina, spesso introvabili perché esauriti.
    Tutto il resto, per l’aspirante allevatore, è paccottiglia rivolta agli assoluti neofiti: e posso dirlo con cognizione di causa, essendo autrice di molti testi “paccottigliari”.

    Non voglio rinnegare ciò che ho scritto, sia chiaro: a chi non ha mai visto un cane, le monografie imposte dalle Case editrici (con i capitoli predeterminati e sempre uguali: origini, standard, carattere, toelettatura ecc.) possono anche essere utili.
    Ma chi pensa di cominciare ad allevare…be’, si presume che un cane l’abbia già visto.
    Magari anche due o tre.
    Quindi non gli serviranno a molto i libri che parlano di cani tutti rigorosamente “fedeli, dolci e buoni con i bambini”, ma che non dicono una parola su come si può capire davvero una razza, e tanto meno sui problemi di allevamento.
    Questo, a mio avviso, è molto triste: e non fa certo il bene della cinofilia.
    L’editoria cinofila è “tutta sbagliata, tutta da rifare”… ma c’è molto di sbagliato anche nell’atteggiamento di chi è GIA’ allevatore: perché non è giusto vedere come potenziale “cagnaro” chiunque si avvicini all’allevamento della razza che amiamo (neppure se la razza sta godendo di un momento particolarmente eclatante): e non è giusto vederlo come potenziale concorrente da tenere fuori dai piedi, perché in tal caso quelli più interessati ai soldi che ai cani saremmo NOI!
    Se un appassionato vuole iniziare un allevamento, credo che ogni vero amante della razza dovrebbe sforzarsi di indirizzarlo nel modo migliore, aiutandolo a sbagliare meno possibile e mettendolo in condizione di partire col piede giusto.

    Bene, ho già chiacchierato troppo: mi resta solo lo spazio per una specie di piccolo “vademecum” con le cose più importanti da sapere prima di decidere di allevare.
    Più che una serie di consigli, possiamo parlare di una serie di “messe in guardia” che ritengo fondamentali per chi vuole partire con vera cognizione di causa, e non sulle ali di pie illusioni che potrebbero crollare miseramente.
    Insomma, cercherò di dissuadervi dall’allevare cani…anche se è evidente che spero di non riuscirci!
    Per tutto il resto, vi invito a scriverci se avete bisogno di informazioni o delucidazioni su qualche particolare argomento.

    PRIMA DI PENSARE AD ALLEVARE, RICORDATE CHE…

    1) Oggi, in Italia, è praticamente impossibile vivere allevando seriamente cani. Ci riescono (talora anche molto bene) solo quelli che non allevano, ma che “commerciano” in cani: chi fa il giusto lavoro di selezione e rispetta i suoi animali ha moltissime spese e produce assai meno cuccioli, quindi il guadagno – quando c’è – è sempre limitato.
    Un modo onesto per “vivere di cani” senza essere cagnari è quello di abbinare all’allevamento vero e proprio altre attività, come l’addestramento o la pensione, assai più remunerative (ma anche molto impegnative);

    2) Nonostante quanto si è detto al punto uno (e cioè che è quasi impossibile fare del solo allevamento una professione), un buon allevatore deve essere veramente “professionale” sotto ogni punto di vista e spendere un sacco di energie in termini di tempo, impegno economico, ore di lavoro e così via;

    3) Anche quando si è animati da autentica passione (per il cane in generale o per una razza in particolare), non ci si può improvvisare allevatori, così come non ci improvviserebbe medici o avvocati: la differenza è che esistono corsi di laurea per medici e avvocati, ma NON per allevatori cinofili (neanche quello in medicina veterinaria, che si occupa in modo molto marginale di problemi di allevamento).
    La cultura, però, non può più formarsi solo “sul campo” come accadeva venti anni fa: oggi gli empirici partono perdenti, perché esistono MOLTI allevatori preparati ed acculturati che producono soggetti sicuramente migliori di chi va…a lume di naso.
    Prima di cominciare ad allevare, quindi, bisogna formarsi una solida base che comprenda nozioni di genetica, anatomia, fisiologia, scienza della riproduzione e via dicendo, unitamente a uno studio dettagliato della propria razza e del relativo Standard.
    Ma siccome, come abbiamo visto, questo è un tipo di cultura che non si trova facilmente nei libri italiani, la cosa migliore da fare è frequentare esposizioni e prove di lavoro, parlare con altri allevatori, cercare di capire tutti i segreti della razza che ci interessa.
    Intanto ci si munirà anche di tutti i testi disponibili, ma tenendo ben presente che spesso, nei libri italiani e in particolare nelle monografie, troveremo solo una piccola parte di ciò che ci interessa.

    4) In Italia l’allevamento è regolamentato da leggi talora giuste, e talora assurde (ne parleremo): comunque bisogna adeguarsi alle normative vigenti. Non basta più un pezzo di terreno su cui costruire qualche box e partire allegramente alla ventura: bisogna avere regolari permessi e seguire tutti i dettami (diversi a seconda della zona di residenza) delle ASL;

    5) Chi alleva cani di taglia medio-grande, anche se ha solo soggetti equilibratissimi, spesso visto –dal mondo non cinofilo – come un domatore di tigri del Bengala, o giù di lì: e cioè come un pazzo scriteriato che tiene animali feroci in giardino, mettendo a repentaglio la sicurezza dei vicini di casa. In questi ultimi anni la psicosi nata intorno ai “cani pericolosi” ha peggiorato in modo esponenziale quello che è sempre stato un problema minore.

    E non basta. Tutti i cani, anche i più educati, abbaiano: e se l’abbaio di un cane solo può essere tollerato, quello di cinque-dieci cani verrà sicuramente condannato dai vicini (o perché provano un effettivo fastidio, o perché trovano la scusa dell’abbaio per nascondere la paura dei cani).
    Purtroppo la legge dà ragione a chi si lamenta: non conta nulla il fatto che noi “lavoriamo” con i cani, proprio come “lavora”, magari, la segheria che sta dieci metri più in là, e che fa un casino indescrivibile con le sue seghe circolari. Il titolare della segheria è legalmente autorizzato a produrre rumori insopportabili, l’allevatore di cani non è autorizzato a produrre nemmeno un BAU.
    Per questo motivo bisogna programmare la propria struttura in modo che non rompa le scatole a nessuno, e cioè piuttosto lontano da tutti i centri abitati;

    6) Nonostante quanto detto al punto 5), nessun allevatore serio e coscienzioso dovrebbe mai tenere i cani lontani da sé e dalla propria abitazione, perché solo il controllo costante consente di intervenire tempestivamente in caso di necessità (vedi cane che sta male, rissa tra cani, femmina che partorisce in anticipo e mille altre possibili situazioni di emergenza). Questo significa che l’allevatore di cani (soprattutto se di media e grossa taglia) dovrà votarsi ad una vita di “quasi-eremitaggio”;

    7) Dopo essersi dato un gran daffare per mettersi perfettamente in regola, per non avere una virgola fuori posto, per pagare le tasse fino all’ultima lira; dopo aver speso un patrimonio per procurarsi riproduttori di altissima genealogia e per mantenerli in modo corretto, con un’alimentazione sana, equilibrata e ovviamente costosa; dopo aver fatto tutte le indagini possibili per il controllo delle malattie ereditarie; dopo averli portati in esposizione e averli sottoposti a controlli per riproduttori (ZTP); dopo averli fatti partecipare a prove di lavoro, la cui preparazione è lunga e ancora una volta costosa, per verificare le loro doti caratteriali; dopo aver fatto tutto questo e molto altro che non sto a specificare per non riempire quaranta pagine, l’allevatore si troverà ugualmente di fronte a persone che, sentendo il prezzo di un cucciolo, ribatteranno: “Ma è carissimo! Il figlio del portinaio mi dà lo stesso identico cane a trecentomila lire. E’ vero che non ha il pedigree, ma un pedigree non può mica costare tutti questi soldi!”.
    Ergo, l’allevatore di cani deve essere un po’ santo: o quantomeno… sicuramente esente dal rischio di raptus omicidi.

    Scritto da : Valeria Rossi

    Fonte: www.tipresentoilcane.com/2011/04/04...un-allevamento/

    Edited by AdminEry - 21/4/2011, 20:51
     
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